SO WHAT!: INTERVISTA 72 SEASONS| KIRK HAMMETT
01 MAGGIO 2023| DI STEFFAN CHIRAZI
Quando Kirk Hammett è entrato agli Headquarters – abbronzato, capelli fluenti – aveva con sé una piccola chitarra acustica. Come una specie di Benjamin Button (basta guardare Kirk dei primi anni ’90, e poi la brillante visione di salute e atemporalità che vediamo oggi) posa la sua borsa, si siede e inizia a suonare immediatamente. I suoi vestiti raffigurano delle immagini di mostri. Lui sorride. Gli offrono un cappuccino. Questo è il contesto di quella che sarà una chiacchierata espansiva, illuminante e, tutto sommato, divertente. E secondo me, anche Kirk era a suo agio da quello che ho visto.
Ho la sensazione che la gente a volte dimentichi quale catalizzatore sia Kirk Hammett nel mondo del rock. Kirk sembra avere un collegamento con tutti, da Cobain a Bowie ed Elton. Kirk che è fondamentalmente il Kevin Bacon del thrash della Bay Area, nonostante i gradi che li dividono sono più due che sei. Kirk che di tanto in tanto si ritrova gente come Pete Townshend che gli va a parlare. Spesso, sembra che Kirk abbia permesso ai semi dell’insicurezza di forgiare le sue ali della fiducia in sé stesso, ma non nel 2022.
È un tipo raggiante!
Bisognerebbe vedere – è un piacere, davvero – l’energia positiva che fluisce dall’ottimismo di Kirk Hammett. È assolutamente contagioso, come leggerete voi stessi.
Steffan Chirazi: Quindi… marzo 2020. La band è stata in pausa forzata per il fatto che James era in riabilitazione, e poi c’è stata la pandemia. Dov’era la tua testa in quel momento? Cosa provavi in relazione alla band?
Kirk Hammett: Beh, sai, in tutta onestà, sembrava che fossimo al punto in cui eravamo ai tempi di Some Kind of Monster. Perché ogni volta che qualcuno va incontro a qualcosa che cambia la vita, la sconvolge, devi semplicemente accettare il fatto che non sai cosa succederà una volta che quella persona tornerà. Non sai come il tutto potrebbe cambiarla. Quindi, quando James è andato in riabilitazione e poi è arrivato il Covid, voglio dire, è stato un doppio colpo! E sembrava che il futuro fosse molto, molto cupo.
Non volevo semplicemente starmene lì e interrogarmi sull’ignoto o darla vinta a qualcosa che era così dannatamente imprevedibile. Non avevo intenzione di starmene lì, rimuginare e farmi domande per le quali sapevo che non c’erano risposte. Quindi mi sono rivolto al mio socio, Rob Trujillo. Il mio complice musicale e il mio fratello dell’anima. Abbiamo discusso a lungo e abbiamo deciso, che qualunque cosa fosse accaduta… Io e lui saremmo rimasti in contatto con tutto questo, cazzo. Siamo d’accordo su diversi piani; musicalmente, personalmente, col surf, su diversi livelli davvero. Abbiamo avuto una lunga conversazione, circa 45 minuti sù per giù e alla fine ha detto: “Kirk, ecco cosa farò. Rimarrò positivo e creativo, ed è quello che dovresti fare anche tu!” Ho pensato tra me e me, sembra così semplice e così bello, ed è quello che farò. E sono rimasto positivo, sai? Per me essere positivo significa prendere in mano la mia chitarra ogni giorno. Suonarla con l’obiettivo di scrivere musica per il futuro. È un tipo di pratica molto, molto positiva su cui posso fare affidamento per trasportarmi in un bel posto praticamente ogni volta perché è quello che facevo quando ero bambino. [Quando] semplicemente non sapevo come affrontare certe cose, prendevo in mano la mia chitarra e, all’improvviso, mi trovavo in un posto migliore.
Quindi mi sono seduto lì e l’ho fatto. Ho scritto tanta musica. Molta è finita in questo album. Gran parte di essa è finita nel mio album solista. E ne ho ancora parecchia, sai, e sto pensando: “Cosa faccio con tutta questa musica?!” Ma ho molte idee. So che anche Rob ha tante idee, e parte della musica che Rob Trujillo ha scritto negli ultimi due anni è stata davvero fantastica. L’ho visto scrivere quelle cose proprio di fronte a me, e ho pensato: “Rob, è roba geniale!”
SC: Parliamo del tuo lavoro e di quanto le jam su cui hai lavorato durante il tour europeo negli stadi abbiano contribuito a promuovere la fiducia necessaria per essere ottimisti e seguire i consigli di Rob. Senti che tutto il lavoro che hai svolto allora ti ha aiutato a formare la base di fiducia per farti pensare immediatamente: “Questo è il mio uomo! Mi fido di lui.”?
KH: SÌ. Il livello del legame musicale con Rob è molto, molto profondo perché Io e lui veniamo praticamente dalla stessa scena. Siamo cresciuti tra funk, R&B, soul, jazz, musica classica, latina. E sono stato esposto a questo tipo di musica da quando avevo cinque o sei anni. Crescendo nei primi anni ’70, c’era così tanta di quella musica ovunque nella Bay Area e alla radio. E so che ce n’era parecchia anche a SoCal, alla radio. E [quindi quando] facciamo una jam, non ci sono limiti ai generi di musica che possiamo suonare. Suoniamo jazz, blues, country, polka, jazz gitano, folk dell’Est europeo, pop francese, pop olandese, top ten, new wave, punk… abbiamo suonato di tutto, Io e lui. E sai, è fantastico perché l’abbiamo fatto in un modo che riteniamo convincente. Abbiamo portato la nostra musicalità, suonata in modo convincente e con il cuore. Essere semplicemente messi in una strana situazione musicale e dire: “Okay, sono in una situazione musicale difficile, ma mi sento davvero a mio agio, ora suona con il cuore…” Questo è un compito arduo. È tanto, ma è fattibile.
A volte Io e lui ci mettevamo su una canzone per 24 ore, ed era molto, molto complicato in termini di accordi jazz e arrangiamento. Ma ci sedevamo lì e la suonavamo 30 volte nel corso di due ore, poi andavamo nelle nostre camere d’albergo e ci lavoravamo sopra, e poi tornavamo di nuovo insieme e ci lavoravamo ancora finché non sentivamo di avercela fatta. E lavoravamo su quei duetti letteralmente fino a un’ora prima di salire sul palco. Siamo cresciuti molto musicalmente grazie a quei duetti. Molto.
SC: Ora che hai toccato il tema, ti faccio una domanda composta da due parti. Sempre sul tema fiducia, innanzitutto, ti sei sentito più fiducioso nel processo di lavorazione di questo album? E se è così, quanto pensi che sia dovuto al fatto che gli altri due ragazzi hanno visto cosa avete fatto tu e Rob durante quelle jam?
KH: Non so se c’entra così tanto la fiducia. Quando è il momento di iniziare a creare brani e musica, la questione è se ti presenti con la musica o meno. Qualunque cosa accada, non importa come arrivi ad averla. Dipende solo se ti presenti al tavolo con la musica o no.
SC: Quindi lascia che te lo chieda da un’altra prospettiva. Hai avuto la sensazione che mentre scrivevi quei primi riff, tiravi fuori quelle idee, iniziavi ad esporre il materiale a tutti… dall’altra parte di quella “linea”, forse le orecchie di tutti erano un po’ più aperte ad ascoltare quello che stavi portando rispetto a prima?
KH: Sai, penso che il mio sentimento e il mio atteggiamento siano pervasivi quando scrivo un pezzo, ho fiducia in esso, e sono sicuro del suo potenziale, della sua capacità e delle possibilità dietro di esso, quel brano parla per sé stesso. Posso comportarmi come uno stronzo immaturo e irresponsabile, ma se sto suonando il riff di “Enter Sandman”, quel riff sarà la mia cazzo di priorità. Non è “il comportamento” il punto. Parliamone pure dopo. È il mio cazzo di riff la priorità in questo momento. Quindi, detto questo, se ho un brano musicale o un riff in cui ho fiducia, non mi interessa cosa ne pensano gli altri. E non ho bisogno che nessuno validi quella musica perché lo so e basta. Lo so dal mio cuore, dalla mia testa, dal mio istinto. È davvero una roba istintiva. Semplicemente lo so. E penso possano dirti lo stesso James, Lars e Rob. Ogni volta che sai che un cazzo di pezzo “ha qualcosa e puoi prenderlo per buono”, lo metti sul treno e vedi dove va.
SC: Lascia che ti chieda del processo di scrittura dei riff su questo album. È stato più facile scrivere sapendo che non avresti dovuto sederti fisicamente di fronte a Greg Fidelman o Lars o chiunque altro? Io ti conosco. E sono d’accordo con te sull’importanza dell’energia fisica. Ad esempio, adesso siamo nella stessa stanza e ci ispiriamo a vicenda, anche questa intervista è diversa da come sarebbe se fossimo su Zoom.
KH: C’è un’energia che deriva semplicemente dall’essere insieme a un’altra persona. Credo sempre che [quando] prendi due teste e le metti insieme fisicamente, non equivalgono a due. In realtà è come se fossero quattro. Aggiungine un’altra ed è come averne nove. Aggiungi un’altra ancora e sarà come averne 18 o 24, forse. Davvero! Lo penso seriamente. Succede qualcosa quando metti insieme due persone per una collaborazione. È più grande di voi due. E poi cresce esponenzialmente. Questo è qualcosa che abbiamo vissuto per molto tempo e che ci ha sempre dato dei risultati. Sappiamo quanto sia importante trovarci tutti nella stessa stanza a fare ciò che dobbiamo fare insieme, che si tratti di scrivere, provare, registrare, esibirsi o altro. Qualunque cosa. Tutto si fonde quando siamo tutti e quattro nella stessa stanza. Possiamo fare molto lavoro individualmente e funziona. Ma il risultato più importante è sempre quando siamo tutti insieme in quella stanza, il lavoro è completo, suoniamo le canzoni e improvvisiamo. Quello è il momento in cui ci guardiamo, scuotiamo la testa e lo sappiamo: “Sì, è giusto”, il risultato è lì.
SC: Pensi che la pandemia ha fatto sì che tutti apprezzassero di più quella chimica?
KH: Sì.
SC: E apprezzare la diversità che ognuno di voi offre? Forse provare a non guardare le differenze ma guardare i punti in comune?
KH: SÌ. È qualcosa che ci diciamo da molto tempo. Sono le differenze che in realtà ci rendono interessanti nell’insieme. Ti dirò una cosa che ha fatto il Covid e che credo sia stata piuttosto importante. Eravamo arrivati al punto in cui stavamo creando delle Covid bubble, forse era la nostra terza o quarta, e dovevamo iniziare a registrare la batteria per l’album. Ricordo che arrivammo tutti. La banda era arrivata. Poi sono arrivati i tecnici, i backliner e l’atmosfera per lo più era: “Oh, che bello vederti, che bello stare tutti insieme, che bello lavorare”. E il fatto che ci sia stato negato tutto questo, il desiderio di poterlo fare nuovamente, ha creato quella sensazione di voler suonare e stare insieme. Ha fatto veramente tanto. Quindi, quando poi abbiamo effettivamente registrato le tracce di batteria, abbiamo suonato tutti insieme, sentito le vibrazioni dello stare insieme, penso che ci sia stato un nuovo livello di apprezzamento reciproco per ciò che stavamo facendo.
Sinceramente sento che siamo molto più coinvolti perché non avevamo modo di sapere se quella fosse stata o meno la nostra ultima fottuta volta [in cui avremmo suonato insieme]. E non possiamo sapere se saremo nuovamente nella stessa situazione l’anno prossimo. Perché la gente stava morendo! Le cose stanno cambiando e la cultura si trova in una sorta di luogo strano e caotico. E quindi sì, stavamo approfittando del fatto che eravamo insieme, e quando stavamo suonando, si sentiva che ci stavamo impegnando. Si sentiva quanto fossimo tutti fedeli alla musica. E ho davvero la sensazione che durante quel periodo, ogni cazzo di nota e ogni battuta che suonavamo significasse qualcosa. Perché, a quel punto, era così! E quando siamo arrivati alle mie parti, stessa cosa. Avevo tutta questa energia creativa repressa, frustrazione, rabbia e confusione, le stesse cose che avevano tutti gli altri.
SC: È interessante che tu parli delle tue parti soliste perché penso che siano i migliori assoli che hai messo su un disco probabilmente negli ultimi 20 anni. L’ultimo assolo di “Inamorata” è stupefacente. Mi è stato detto che l’hai suonato e basta.
KH: Sì. Voglio dire, è più o meno così che sono state realizzate tutte le tracce. Sono andato lì e ho improvvisato. Ma prima di arrivare a questo, dovevo davvero assicurarmi che le mie capacità fossero a posto e che stavo suonando a un livello di cui mi sentivo sicuro. Avevo una visione di quali scale suonare, quali passaggi di chitarra suonare. Avevo un intero vocabolario di riff che avrei portato in questo album. Mi ripeto un po’, ma è intenzionale perché volevo che ci fosse un vocabolario, il mio vocabolario che ho usato per questo album e solo per questo album. Ho avuto molta energia ed emozioni represse a causa delle restrizioni. Avevo bisogno di far uscire tutto e l’ho fatto in uno dei pochi modi che conosco. Semplicemente suonando la chitarra.
SC: Adoro quella parola “vocabolario” e adoro il fatto che tu dica che era il tuo vocabolario per questo disco. Devo chiederti, proprio prima della pandemia, mentre ti stavi preparando per lo spettacolo di Peter Green (alla Royal Albert Hall di Londra il 25 febbraio 2020), c’erano David Gilmour e Pete Townshend che sono passati al tuo stack per chiederti: “Ciao amico, come stai?” … questo ha cambiato un po’ il tuo vocabolario?
KH: Oh, certo!
SC: Dimmi di più. Sei un chitarrista già rispettato nel genere, ma ora hai questi titani che si fanno avanti e condividono la loro ammirazione. Dimmi di più di cosa comporta questo per il tuo vocabolario.
KH: Ho passato letteralmente anni a studiare gli stili chitarristici di queste persone, il loro modo di suonare e a cercare di entrare nelle loro teste musicali. Assorbo tutto, faccio quello che faccio, ma mentre lo faccio, non so che ci seguono! Non mi era mai venuto in mente che questi ragazzi, che significano così tanto per me, stessero ascoltando i nostri brani. Perché suono solo per la nostra fan base, questo è tutto ciò che mi interessa. Non faccio caso a se Dave Gilmour ci segua o meno. Ma si dà il caso che ascolti molto più di quanto avessi mai realizzato. E che questi ragazzi vengano da me e dicano: “Ehi, come va? Cosa fai?” È grandioso, fratello. È un riconoscimento enorme. È un riscatto. Mi fa capire che sono sulla strada giusta. E mi fa capire anche che “bisogna fare la cosa giusta”, perché questi ragazzi sono persone che mi hanno ispirato. E se vengono da me e dicono “ottimo lavoro” o altro, è fantastico. Perché anch’io voglio girarmi e ispirare le persone. Questo è parte del motivo per cui lo sto facendo. Voglio ispirare le persone a fare ottima musica che non abbia nulla a che fare con noi. Perché l’ispirazione è il futuro della musica. Se posso contribuire alla crescita futura della musica contemporanea e influenzarla in modo da aumentarne la qualità, cazzo sì! Cazzo sì! Penso che questi ragazzi abbiano la stessa sensazione e riconoscano che è quello che sto facendo anch’io.
SC: Trova un paio di parole che possano incapsulare quello che era quel “vocabolario”. Qual era l’intenzione emotiva dietro gli assoli e dietro l’esecuzione?
KH: Frustrazione. Rabbia, frustrazione e il desiderio, sai, di dire semplicemente “vaffanculo” a quella rabbia e a quella frustrazione. Mi presentavo in studio, non sapendo cosa suonare. Ascolta la canzone, ascolta l’emozione della canzone, il battito della canzone, e senti semplicemente queste emozioni emergere e canalizzale. Proprio come, “Aaaah, aah, aah, AAAH!” E poi dopo, “Aaah, Dio, mi sento molto meglio adesso.”
SC: I chitarristi dei Metallica sono (credo) probabilmente le due persone emotivamente più espressive della band.
KH: [Digrignando] Siamo entrambi dei casi disperati!
SC: Uno di loro filtra le emozioni attraverso i suoi testi e l’altro attraverso la sua chitarra. Parlami un po’ dei testi del tuo compagno di chitarra, leggendo dove voleva andare e ripercorrendo il suo viaggio. E, se puoi, riesci a rifletterlo su un uomo con cui hai trascorso tre quarti della tua vita? Come ti ha fatto sentire? Ti identifichi in ciò di cui ha scritto? Ti identifichi in ciò di cui sta scrivendo? Quanto questo influenza la canalizzazione della musica quando ti metti a suonare?
KH: Per quanto riguarda i testi di James, cerco di non individuare nessuna canzone o testo in particolare. Assorbo il sentimento in generale. E raccolgo quel sentimento. È davvero coerente perché di solito il sentimento è molto vicino a qualcosa che ho vissuto o che sto vivendo. Quando si tratta di me e James, mentalmente siamo entrambi provati e talvolta lo siamo in modo simile. Quindi a volte, quando va incontro a delle situazioni, posso identificarmi totalmente. E ho la sensazione che a volte, quando sto andando Io incontro a delle situazioni, lui possa identificarsi in me. Quindi, abbiamo questa strana connessione emotiva. Ci incontriamo in un luogo scomodo. Freddo e sfocato. In realtà è un posto spaventoso e un posto super impegnativo e oscuro. Personalmente lo filtro in modo diverso. Lui lo filtra in modo altrettanto diverso, ma quel posto è molto, molto simile. Quindi, è molto facile per me relazionarmi con James praticamente sempre su questi problemi, e sento che lui può relazionarsi con me molte volte con i miei problemi. E questi problemi sono continui, continui e coerenti perché per noi è la vita, semplicemente la vita. E il suo riconoscimento è importante.
Quindi, quando sento cantare certe cose, capisco il sentimento. Ho una sensazione viscerale. Cerco di non sezionarlo, né di classificarlo, né di compartimentarlo. La vedo come una specie di emozione cruda e parto da lì. E per me farlo è purezza. Sembra onesto e giusto, piuttosto che raccogliere certe cose qua e là. No, voglio prendere tutto, ottenere una visione globale dell’emozione cruda e del sentimento, collegarlo a ciò che sento e poi portarlo in un posto diverso attraverso il mio modo di suonare la chitarra. È qualcosa che faccio da molto tempo ormai.
SC: Sembra che tu lo stia facendo con più sicurezza che mai in questo progetto. Anche parlandone qui adesso, non ti ho mai sentito parlare con la fluidità e la sicurezza necessarie per esprimerlo come stai facendo adesso. Pensi che sia qualcosa che è successo negli ultimi mesi?
KH: Beh, sono migliorato semplicemente nell’esprimermi, nel parlare dei miei sentimenti, nel non essere timido riguardo ad essi… il mio problema più grande è che sono chiuso. Mi isolo sempre da tutto e da tutti. Lo faccio. E non è dissociazione. In realtà significa solo volersi allontanare dalle persone quando sei al limite. Quindi, ho riconosciuto che lo faccio, e che è meglio se esprimo ciò che sento veramente, in ogni momento.
Presto saranno nove anni da quando sono sobrio. [Attribuisco] gran parte della mia crescita personale al fatto di essere diventato sobrio. E vorrei essere diventato sobrio molto tempo fa, ma semplicemente non era in programma, sai? Ma da quando sono diventato sobrio, tutto è migliorato nella mia vita, praticamente tutto è migliorato. Mi concentro e ora mi metto in situazioni che so essere positive e vantaggiose per tutti, che contribuiscono al benessere di tutti gli altri. E la cosa migliore che posso fare oggigiorno è trovare modi per contribuire al benessere degli altri, sia attraverso l’arte, la musica, semplicemente uscendo con le persone, facendo cose creative interessanti, mettendomi in contatto con le persone, essendo positivo e semplicemente lavorando per il benessere di tutti. Questo è ciò che voglio fare oggi.
SC: È interessante perché – e ne abbiamo parlato – questa band è composta da pilastri inamovibili o fiumi in piena. E per molti anni, penso che probabilmente ti sei messo nella posizione di essere un fiume quando Jason era nella band, essendo “interverrò e tamponerò”. Ora tu e Rob sembrate condividere quel carico insieme, ma più di ogni altra cosa, ho ragione nel dire che non sei più particolarmente interessato a fare da cuscinetto? È il caso di quasi dire: “Ehi, questo è quello che sono, cazzo. E se vuoi che io sia qualcos’altro, non succederà”?
KH: Bene, so che non sono così incasinato come una volta. E so che non sono più imprevedibile come una volta. Quando ero più giovane, avevo questa cosa; ho sempre avuto la sensazione di aver bisogno di avventure. Ero dispettoso. Quindi mi mettevo continuamente nei guai, solo perché quella era l’energia che era in me. Ma non ce l’ho più. Sento di essere molto ben radicato. Sento anche di essere la mia persona e che sarò sempre la mia persona. E tutto ciò che non ha nulla avere a che fare con me inizia con me e finisce con me. Alla fine, non ha davvero niente a che fare con nessun altro. E realizzare questa cosa mi ha cambiato. Ha cambiato il mio approccio quasi per tutto. Mi ha dato la consapevolezza di essere meno reattivo e più reattivo per quasi ogni situazione. Mentre in passato ero un animale reattivo ed emotivo che partiva a scagliarsi continuamente senza nemmeno pensare perché ero stato condizionato. Questa era la situazione intorno a me mentre crescevo. Queste sono le mie “72 stagioni”, sai? Essere sempre in una modalità totalmente reattiva perché dovevo essere così perché questo è ciò che le persone devono essere per sopravvivere. Sai, durante quelle 72 stagioni, per me la maggior parte è stata spesa in modalità sopravvivenza. E sai, diventa stancante essere in quella modalità. Ho trovato il modo di uscire da quella narrazione ed essere la mia persona. E mi rendo conto che è tutto ciò che posso fare, quindi è quello che faccio adesso.
SC: Quando sei entrato, hai detto: “Suono la chitarra tutto il tempo. Adoro suonare la chitarra.” Sembra che suonare la chitarra ti abbia trascinato attraverso tutto questo e sia stato l’elemento costante che ti ha fatto attraversare tutte queste onde emotive.
KH: SÌ. La cosa bella di essere me stesso in questo momento è che riconosco cose che non avevo mai riconosciuto in passato. Ed è importante riconoscere certe cose nella tua vita e dare loro rispetto, compassione e credito. Perché penso che le persone non si diano abbastanza credito per molte delle cose che fanno.
SC: Fammi un paio di esempi se vuoi.
KH: Di riconoscimento?
SC: SÌ. Di quello di cui hai appena parlato.
KH: Beh, riconosco che qualunque cosa accada nella mia vita, suonerò sempre la chitarra. Farò sempre musica perché questa è la mia vocazione. Riconosco che questa è la mia vocazione universale: fare musica, con qualcuno o da solo. Questo è ciò che faccio. E per me, la realizzazione – Mi sono reso conto forse 10-15 anni fa che questa era davvero l’unica opzione che avevo nella mia vita – è stata fantastica! Non mi chiedo perché lo sto facendo. Perché per suonare, per far parte di questo settore, per far parte di una band, devi impegnarti. Devi fare così tanti sacrifici personali, non c’è garanzia di successo e potresti rimanerci secco nel processo. Ecco com’è lavorare in questo settore, e posso solo dirlo ora, guardandomi indietro. Perché 40 anni fa, quello che ho visto era un gruppo di ragazzi affamati, innocenti, che avevano qualcosa da dire e avevano energia. Abbiamo iniziato tutti dalla stessa pagina. Ma a causa del settore, della musica, della popolarità, dello status, del sesso, della droga e del rock and roll, non tutti siamo arrivati a questo punto. [Kirk si riferiva al music business in generale, non ai Metallica nello specifico. – ED] Alcune persone sono state divorate e sputate. Altre sono state semplicemente divorate e non sono più tornate. Ne sono rimasto estremamente colpito. Alcune persone nella band sono state fortemente impattate. Mi sento come se fossi un cazzo di sopravvissuto, e penso che ognuno di noi in questa band sia un sopravvissuto perché, amico, è un settore incasinato.
I miei figli sono davvero sensibili e timidi, come me. Non li spingerei in tutto ciò. Non spingo i miei figli verso la musica o verso questa carriera perché… sì, è stato fantastico. Questo lato [della strada verso il successo] è sorprendente. Tutti vedono sempre questo lato, ma devi essere dannatamente consapevole anche dell’”altro” lato… e “quel” lato mi ha quasi ucciso. Se spingo i miei figli a fare questo, non c’è alcuna garanzia che avranno lo stesso successo. Quindi, non voglio che i miei figli siano soggetti a tutto ciò. I figli degli altri ragazzi sono diversi dai miei. I figli di Rob, Tye in generale, è un perfetto esempio di ragazzo cresciuto in questo business e sa già cosa vuole.
SC: Sì, è davvero unico. Sono una famiglia unica di creativi, artisti… questo è quello che fanno tutti, Chloe, Lullah. Sono davvero unici.
KH: Sì, ha il pieno sostegno della sua famiglia, ed è fantastico. Quando ho iniziato [da bambino – ED], non avevo il sostegno della mia famiglia, e dubito che qualcuno di noi lo avesse. In effetti, mia madre non era d’accordo quando ha scoperto che volevo diventare un musicista. Letteralmente, mi ha urlato contro per due o tre ore, dicendo: “Cosa stai facendo? Sei pazzo?”
Quindi è anche il riconoscimento che culturalmente rappresenta qualcosa. Ognuno di noi rappresenta qualcosa. E le persone hanno bisogno che quella persona significhi qualcosa nella loro vita. Anche questo è molto, molto importante, e questo è un altro motivo per cui penso che non dovremmo mai fermarci perché diamo significato alla vita delle persone. Gli UFO, Michael Schenker, hanno dato così tanto significato alla mia vita, ed erano solo una band. Era solo musica. Era solo intrattenimento, ma per me era come un’ancora di salvezza.
SC: Mi sembra che il tuo equilibrio con tutto ciò sia probabilmente nel punto migliore perché tu possa ottenere anche la massima soddisfazione personale e musicale.
KH: Sì, ma anche solo per arrivare a quel punto, ho dovuto fare un passo indietro, tipo: “Cosa sto facendo in tutto questo?” Fai un passo indietro e pensa: “Sì, quello che ho è davvero, davvero meraviglioso e lo faccio intenzionalmente!”
SC: Questo è fondamentale da ricordare; nessuno vi obbliga a stare insieme e a continuare a farlo.
KH: Lo stiamo facendo tutti intenzionalmente. Nessuno ci obbliga, nessuno ci minaccia. Ma dovevo chiedermi, se all’improvviso fossi da solo e dovessi fare questo, come sarebbe? Lo farei ancora e il mio cuore sarebbe ancora lì? E la risposta è si. E ‘così semplice. Solo la consapevolezza di ciò mi ha dato un’immensa libertà nella band. E non avevo bisogno di parlare con gli altri tre ragazzi. Sono arrivato a questo con la mia deduzione.
Ho riconosciuto il mio spazio in questa band, ho riconosciuto che è tutto intenzionale e poi ho riconosciuto che è qualcosa che voglio fare e adoro fare. Non importa la situazione, continuerò a farlo perché nessuno può fermarmi. È la mia decisione nella vita.
SC: Hai suonato diversi riff piuttosto forti su 72 Seasons. Pensi che il tutto sia il risultato di ciò di cui stai parlando? Questa forza sostenuta che ti ha aiutato a scrivere cose più accessibili agli altri?
KH: SÌ. Sono semplicemente migliorato nel fare quello che faccio. Mi sento ancora come se stessi crescendo con lo strumento, mi sento ancora come se stessi scalando la montagna creativa e non ho ancora raggiunto la vetta. Scrivo ancora, creo ancora, sono ancora curioso col mio strumento. Sta ancora succedendo. Sento che la spinta dietro di me è più forte che mai adesso.
SC: Cosa hai imparato nell’ultimo anno riguardo al tuo modo di suonare – e al modo di suonare in generale – che è stata una rivelazione per te stesso? Se potessi scegliere una o due cose…
KH: Trascorro molto tempo a pensare a cose spirituali. Sono una persona molto spirituale. Medito almeno un’ora al giorno. Trascorro molto tempo leggendo filosofia. Anch’io sono interessato alla scienza, e il punto in cui scienza e religione si incontrano [è] un precipizio davvero interessante. E dopo anni passati a leggere veramente la filosofia, sono giunto ad alcune conclusioni, e la mia conclusione è che tutta la musica che ho scritto è dentro di me. Tutta la musica che scriverò è dentro di me. E se ci credo, [ciò] significa che posso accedere a tutta la musica che ho scritto in passato, [e] a tutta la musica che scriverò in futuro. Se riesco a trovare un posto e ad accedervi, e credo di poterlo fare, allora in questo momento le possibilità sono infinite… e questo è il mio approccio. Mi siedo e leggo la mia intensa consapevolezza del momento presente, mi apro e succede qualcosa.
SC: Cosa diresti del tuo modo di suonare in questo momento? Potrebbe essere una domanda scomoda, ma mi è venuta in mente. Quale equilibrio tra l’essere in quel momento spirituale e l’essere in quel momento emotivamente reattivo sta influenzando, o ha influenzato, ciò che hai scritto di recente in 72 Seasons?
KH: La cosa migliore è la prospettiva. Posso dire: “Okay, posso collegare questa musica a questo insieme, e questo brano musicale proviene da questo insieme di emozioni ed energia che stavo provando. Questo brano musicale risale a quel momento in cui ero appena uscito dalla meditazione e stavo fissando una luce. Poi all’improvviso qualcosa mi dice di prendere la mia chitarra, la prendo, poi all’improvviso qualcosa viene fuori! Mi succede così spesso tutto il tempo. Quindi, ho una prospettiva più ampia sull’origine delle cose perché la musica proviene da ogni direzione. Non viene sempre da un angolo, da uno spazio. Viene da ogni parte.
SC: Passiamo ai live, ma restiamo sul tema. Quando suoni, ad esempio, la canzone “72 Seasons” dal vivo. Mentre suoni gli assolo, i riff, trai ispirazione da ciò che ha creato quel riff, o da com’è l’aria ad Amsterdam, a Parigi o ad Amburgo?
KH: Quando ero più giovane, mi ispiravo sempre dal passato. Mi ricorderei quella cosa che ho fatto o quella registrazione di quell’album. Quando mi ispiro al passato, non funziona. Ho bisogno di essere presente, nel futuro – inventarmi qualcosa. E questo di solito va bene. Il processo di creazione implica sempre essere nel “presente” e creare qualcosa nel momento che ti spinge più in là e ti libera dal passato.
Nessuno vuole essere incatenato al passato. È un peccato. Il momento più emozionante che io possa mai vivere è proprio adesso. Non voglio vivere nel passato… non so nemmeno cosa sia il futuro. È un po’ uno schifo perché vai online e trovi tre milioni di persone che affermano di sapere quale sarà il futuro. “Domani, questo è ciò che accadrà. La prossima settimana dobbiamo farlo perché…” Voglio dire, davvero? Qual è la [loro] fonte di informazione? Perché non è una fonte di informazioni di cui sono a conoscenza. Si tratta solo di vivere il momento, amico.
SC: È piuttosto emozionante per le persone che vengono a questi spettacoli perché si beccano quello che provi in quel momento.
KH: Assolutamente.
SC: Il che è grandioso.
KH: SÌ. Gli assolo di questo album sono solo – e so che questo fa incazzare [alcune persone] – per lo più approssimazioni di assolo. Sono entrato e ho improvvisato tutte le tracce. Devo ancora capire gli assoli perché non riesco a ricordare cosa ho suonato. Mi metterò e imparerò gli assoli, ma cambierò cose ovunque a seconda di come mi sento ad Amsterdam. Avrò il jet lag. Guarderò questo enorme palco del cazzo e un’enorme cazzo di folla con facce che dicono semplicemente: “Cazzo sì, cazzo sì!” E la combinazione del jet lag, che mi rende pazzo, e quell’energia di stare di fronte al nostro pubblico, quell’iniezione di nuova energia della canzone… Cavolo, potrei finire ovunque.
SC: Molto emozionante da ascoltare.
KH: Sì, e sai una cosa? Non lo saprò finché non arriveremo ad Amsterdam, arrivo a quel punto e suono qualunque cosa capita. Sarà una sorpresa per me, e penso che sia una cosa bellissima, piuttosto che avere una cosa preconfezionata per cui sai semplicemente cosa succederà. L’hai sentito 40.000 volte prima e, “Okay, sì, suona proprio come l’album, evvai.” La gente è coinvolta, ma io non mi sento così in questo periodo.
SC: È fantastico. So che, sfortunatamente, dobbiamo salutarci tra due minuti perché hai le prove. Quindi vado sul semplice. Quando ti vedo suonare dal vivo, in realtà, quando ti vedo andare in giro, sembra che ti piaccia davvero essere un chitarrista solista. Ti piace essere una rock star. Non in modo stupido, stravagante, da primadonna, ma in modo molto naturale. Ti presenti sempre con dei vestiti speciali, cammini, abbronzato, splendido. Sembra davvero che ti stia divertendo! (E ancora una volta, lo fai dannatamente bene.)
KH: Ok, posso svelarti un piccolo segreto?
SC: Sì, per favore.
KH: [Sorride tanto] Amo quello che faccio. Adoro quello che faccio, cazzo, ok? Ci sono stati momenti in cui gli aspetti negativi hanno preso completamente il sopravvento su di me e ho passato molto tempo a evidenziarli, ma non fraintendermi. Gli aspetti positivi superano ancora quelli negativi e amo quello che faccio. Fondamentalmente si tratta di salire sul palco, suonare la chitarra per le persone e farle divertire. Perché quando sono sul palco, ci sono e mi diverto davvero. E fin da quando ero bambino, ho pensato: “Se sono sul palco a divertirmi e la gente mi vede divertirmi, riprenderanno quel bel momento e si divertiranno anche loro. “
L’ho imparato quando avevo 17 anni e ho iniziato a suonare per la prima volta negli Exodus. Ci credevo allora, e ci credo adesso, e sì, mi sto divertendo moltissimo sul palco a suonare la chitarra. Suono belle canzoni che sono divertenti da suonare. Scriviamo canzoni che sono divertenti da suonare perché è quello che vogliamo fare. Non vogliamo scrivere canzoni che siano una seccatura da suonare. Fanculo! Mi annoierei. Probabilmente mi addormenterei, scenderei dal palco o semplicemente inizierei a suonare un assolo a caso (e sono bravo in questo).
Ma abbiamo brani killer. Suono con musicisti killer. Sono i miei fratelli. Abbiamo una fantastica fan base che ci capisce e anche di più. Lo adoro ancora. E adoro il fatto che possiamo entrare in una grande venue – 50.000 persone – e tutti, tutti, quando suoniamo una canzone, sono concentrati allo stesso modo, hanno la stessa consapevolezza e la stessa presenza mentale sulla stessa cosa. E ci sentiamo connessi. Ci sentiamo connessi, tutti noi – 50.000 persone – in un brano… hai presente quel sentimento di comunità? Questo è quello che provi veramente quando vai a uno spettacolo rock. È un’euforia che celebra il fatto che siamo tutti insieme, che vede che tutti amiamo e viviamo qualcosa, e lo facciamo insieme.
Una roba enorme, gigante, potente, amico. Ed essere in quella situazione – essere in prima linea, guidarlo, offrirlo e tenerne le redini – è magico, amico. È puro amore. AMORE. La gente ride, ma io sfido chiunque a pensare che sia banale: vai al nocciolo della questione. Vai al nocciolo di ciò che ti motiva davvero a divertirti.
Detto questo, Kirk prende la sua chitarra e si dirige nella sala prove per iniziare a suonare. È stato emozionante… nel modo più assoluto.
Traduzione: Maurizio Di Meo